TANINA CUCCIA Biografia
 
 
 
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All'accademia di belle arti di Palermo sono stati miei insegnanti di pittura: Totò Bonanno, Alfonso Leto, Aldo Pecoraino e Salvatore Provino.

 

 

Piana degli Albanesi

Museo Etnografico Nicola Barbato

 
note autobiografiche
Mi pongo problemi di ordine concettuale, cerco soluzioni che non sono mai univoche e uso come strumento privilegiato della mia ricerca la pittura. La mia ricerca è nelle mie opere ed esse raccontando una memoria e un’identità particolare.
Sono un’ arbëreshe, ovvero una italo-albanese appartenente ad una comunità minoritaria albanofona e di rito bizantino insediatasi alla fine del XV secolo in Sicilia.
Le mie opere sono cariche di riferimenti bizantini, i soggetti sono legati al mondo dell’icona, ad un mondo lontano popolato da santi guerrieri e creature angeliche che si invera tramite un meticoloso lavoro pittorico che recupera antiche tecniche come la tempera all’uovo o l’affresco ed allo stesso tempo raccontano attraverso i tagli, le crepe, gli strappi, i palinsesti e i forti contrasti materici, una realtà soggetta alla disgregazione della materia ed ai suoi incontrollabili mutamenti.
Per questo non si può dire che io oggi dipinga icone.
L’icona, infatti, espressione della spiritualità bizantina, si sviluppa nell’ambito di una sacralità cristallizzata fondata su regole e canoni ben definiti, in essa vi è essenzialmente la ricerca del “ bello-buono “ e il suo compito è condurre alla contemplazione della verità. Le mie opere invece non sono più contemplative di verità ma espressione del dubbio e della coscienza della decadenza, non so se siano constatazione della perdita del sacro o tentativo di recupero di esso. A volte nel dipingere inseguo il ricordo dell’immagine di un vecchio muro o di una antica porta di Piana o un colore, e la mia ricerca si svolge essenzialmente su un piano formale “segnico”; anche in alcune icone d'altronde vi è una bellezza che travalica il sacro. Tale bellezza scaturisce da accordi cromatici azzardati, da segni che, decontestualizzati, si caricano di nuovi e ricchi valori estetici, e da particolari contrasti di materia.
La prima volta che ho ammirato un’icona sotto questo aspetto è stato nel 1979 quando nel laboratorio di restauro dell’Eparchia di Piana degli Albanesi ho avuto l’opportunità unica di seguire i lavori del prof. P. Scandurra sulle antiche icone dell’iconostasi di S. Nicola. Lì ho ammirato le tavole tarlate, spaccate e bruciate, l’argento meccato, i palinsesti, i tasselli di pulitura.
Credo che da quell’esperienza sia nata in me l’esigenza di esprimere il concetto del tempo attraverso il mutare della materia, concetto che l’icona ortodossa non contempla.
La mia attenzione è poi, specialmente negli ultimi anni, rivolta alle contaminazioni culturali ed artistiche e alle contraddizioni che nascono all’interno di una cultura tra le sue forme espressive più semplici e quotidiane e quelle auliche . La condizione di Palermitana (da più di venti anni) mi ha aiutato in questo.
Oro ,mosaico, Santa Rosalia ,espressioni dialettali , palazzi sfarzosi in rovina , graffiti non senso, eroismo, santità, magrebini, nobili e “banniatori”, anche questa è la mia identità. Amo la cultura materiale, le influenze delle culture subalterne, le forme d’arte contemporanea e le opportunità offerte dai nuovi media; anche il brutto, inteso come disarmonia, rottura dell’equilibrio verso una condizione in divenire.
L’identità non è mai frutto d’integrità, solo grazie al confronto ed alla inevitabile contaminazione che ne scaturisce si percepisce l’esatta dimensione di sé .
Penso che solo dopo essermi allontanata, anche fisicamente dal mio nucleo di appartenenza ho potuto rendermi effettivamente conto della mia identità. L’allontanamento è per me condizione privilegiata di autoanalisi di sviluppo di senso critico. Allontanamento è progressiva vicinanza a un’altra condizione da cui partire per ulteriori allontanamenti e scoperte interiori.